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STRATEGIE DI APPRENDIMENTO DEL PENSIERO DISLESSICO, di Mauro Spezzi

Il progressivo interesse delle scienze umane per i processi cognitivi, ribadisce quella che dovrebbe essere la finalità dell’azione formativa scolastica: la costruzione della competenza nell’alunno. Come sottolineato anche dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), il raggiungimento di simile obiettivo passa inevitabilmente per la cognitività: funzione psichica che organizza il comportamento umano. Concetto che può essere facilmente compreso se si analizza il lavoro che la mente fa quando è sottoposta all’attività didattica, in cui si alternano i processi di apprendimento (a carico della memoria) e di costruzione della conoscenza (elaborazione, concettualizzazione e contestualizzazione dell’informazione). Simili attività mentali sono supportate dalla metacognizione, la quale gioca il ruolo di “acceleratore cognitivo”, in quanto consente al pensiero di autoregolarsi nell’esecuzione della pianificazione e favorisce l’attivazione delle strategie didattiche. È da questi processi che lo studente “avanza”, secondo una tassonomia progressiva di costruzione delle proprie competenze (memorizzazione, comprensione, applicazione).

Lo studente dislessico si caratterizza come soggetto interessato da un disordine operativo, che gli impedisce, spesso, di acquisire il metodo di studio e di raggiungere la metacognizione. Altra caratteristica del pensiero dislessico è quella di avere una disordinata fase di ingresso delle informazioni con conseguente “affanno percettivo”, tutto a svantaggio della comprensione inferenziale.

La riflessione sul “cosa fare”, chiama in causa la lettera scritta dalla prof.ssa Margherita Pellegrino, in data 9 luglio 2014, sulla Tecnica della scuola, in cui, la stessa, ribadiva l’importanza di spostare le “attenzioni formative” sulla didattica. In effetti le indicazioni “sul come” far lavorare il dislessico vengono fornite spesso in modo asettico e “unilaterale”.

La prima direttrice operativa o meglio non operativa, riguarda il ricorso al dispensativo;  la seconda si concentra sul compensativo “standard” (calcolatrice, sintonizzatore vocale, audiolibro, altro); la terza orienta l’azione didattica sulla personalizzazione, ma non considera il miglioramento della condizione funzionale generale dell’alunno.

È necessario intraprendere una strada diversa, basata sull’ottimismo pedagogico, che porti con sé un’idea della dislessia come disordine che deve essere assolutamente ri – organizzato attraverso l’esercizio di tutte le funzioni umane. In tale direzione arriva anche il supporto della ricerca neuroscientifica, la quale ha ampiamente dimostrato come l’intervento educativo possa modificare in meglio l’attività della mente, vera intuizione montessoriana: “l’educazione non solo penetra la mente ma la modifica”.

Del resto è sempre bene ricordare la frase pronunciata da Itard su Victor, il selvaggio dell’Aveyron, afasico, ritardato e con comportamento, al momento del ritrovamento, ormai autistico: “gli insegneremo a vedere e ad ascoltare”.

Bibliografia

Crispiani P., Didattica cognitivista, Armando Editore, Roma, 2004.

Crispiani P., Dislessia come disprassia sequenziale, edizioni junior, Bergamo, 2011.

Oliverio A., Neuropedagogia. Cervello, esperienza, apprendimento, Giunti, Firenze, 2015.

Spezzi M., dislessia e didattica, Sette Città, Viterbo, 2015.